Maltrattamenti, imposizioni di dress code precisi a seconda delle occasioni ed estorsioni. Questo nei confronti di tre borsiste e una giovane ricercatrice della scuola di formazione giuridica “Diritto e scienza” di Bari, ma anche la calunnia e la minaccia bei confronti del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Finisce, così, agli arresti domiciliari Francesco Bellomo, 49enne barese, consigliere di Stato sospeso dopo che nel 2017 scoppiò lo scandalo della scuola di preparazione per il concorso in magistratura. Bellomo avrebbe maltrattato delle donne con le quali aveva avuto una relazione sentimentale con operazioni di svilimento della personalità, isolamento e allontanamento dalle amicizie.

Stando alle indagini dei Carabinieri – coordinate dal procuratore aggiunto di Bari, Roberto Rossi e dal sostituto Iolanda Chimenti-, Bellomo attraverso le borse di studio offerte dalla società, selezionava le allieve nei “confronti dei quali nutriva interesse, anche al fine di esercitare un potere di controllo personale e sessuale” e avrebbe fatto sottoscrivere un regolamento che disciplinava i doveri, il codice di condotta, il dress code e la cura della propria immagine dinamica.

A selezionare le donne, tramite colloquio era l’ex Pm di Rovigo Davide Natalin, coordinatore delle borsiste. La presunta estorsione sarebbe stata commessa nei confronti di un’altra corsista, costretta a rinunciare ad un lavoro da co-presentatrice in una emittente televisiva “in quanto incompatibile con l’immagine di aspirante magistrato” e con la minaccia “di revocarle la borsa di studio”.

Nell’inchiesta barese si inserisce, poi, il nuovo filone.

Il nuovo filone vede tra le vittime il presidente del Consiglio Conte, in passato vicepresidente del Consiglio della presidenza della giustizia amministrativa, organo chiamato ad esercitare l’azione disciplinare nei confronti di Bellomo, dopo che erano emersi i primi illeciti a suo carico. L’accusa nei confronti di Bellomo è di calunnia e minaccia ai danni di Conte.

Il premier fu trascinato, assieme alla collega Concetta Plantamura, davanti al Tribunale Civile di Bari: Bellomo paventò che avessero commesso illeciti nella trattazione del giudizio a suo carico – “utilizzando in modo strumentale e illegale il potere disciplinare” mosso da “un intento persecutorio” – e poi fece notificare loro un atto di citazione per danni. Secondo la procura di Bari, tale atto fu un’implicita minaccia, finalizzata a prospettare all’intero Consiglio il possibile esercizio di azioni civili nei confronti di Conte e Plantamura.

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