Allarme CIA: “310 euro a tonnellata, ma costi e prezzi al consumo schizzati. Senza dazi e tracciabilità rischiamo il collasso”
A distanza di dieci anni, le quotazioni del grano duro alla Borsa Merci di Foggia restano sostanzialmente invariate. Il 29 aprile 2015 il prezzo per il “fino” si attestava tra i 305 e i 310 euro a tonnellata. Il 30 aprile 2025, le contrattazioni hanno registrato valori compresi tra 310 e 315 euro. Una differenza minima, che stride fortemente con l’aumento dei costi di produzione sostenuti dagli agricoltori italiani nello stesso arco temporale.
Nel frattempo, i prezzi al consumo sono aumentati in modo significativo. La pasta è passata da una media di 1,20 euro al chilo nel 2015 a 1,62 euro nel 2025, con un incremento del 35%. Ancora più marcato il rincaro del pane: da 2,75 euro a 4,20 euro al chilo, pari al 53% in più.
Un quadro allarmante, denunciato da Angelo Miano, presidente della CIA Agricoltori Italiani per la provincia di Foggia: “Da un lato i prezzi sempre più bassi del grano italiano e, dall’altro, i costi di produzione sempre più alti stanno portando al collasso la nostra cerealicoltura”.
Miano sottolinea l’impatto delle importazioni da Paesi extra UE, in particolare dalla Turchia, che contribuiscono ad alimentare una concorrenza ritenuta sleale: “Se contro il nostro grano è in atto una guerra commerciale, allora è bene che anche noi introduciamo i dazi per proteggere e valorizzare le nostre produzioni. Senza strumenti come Granaio Italia siamo disarmati”.
Secondo Miano, la situazione è aggravata dalla scarsità di prodotto nazionale, nonostante la crescente domanda da parte dei consumatori di alimenti realizzati con grano 100% italiano. “Le quotazioni attuali sono mortificanti per chi produce”, afferma.
A esprimere preoccupazione anche Gennaro Sicolo, presidente regionale e vicepresidente nazionale della CIA: “Come in una guerra, stiamo perdendo terreno. Con le semine ai minimi storici, si rinuncia a coltivare grano, aumentando così la dipendenza dall’estero”. Sicolo invoca maggiore trasparenza sui mercati, tracciabilità della filiera e uno strumento ufficiale per certificare i costi di produzione, necessari per garantire un’equa contrattazione.
La diminuzione delle superfici coltivate a grano è un fenomeno che rischia di acuirsi ulteriormente, qualora i prezzi riconosciuti ai produttori restassero su livelli giudicati insostenibili. Il rischio, avvertono gli agricoltori, è che il grano faccia la stessa fine della barbabietola da zucchero, crollata in pochi anni.
“Occorre un intervento concreto del Governo per fermare questa spirale al ribasso. Le conseguenze non saranno solo economiche e occupazionali, ma coinvolgeranno l’intera filiera del grano-pasta e, in ultima istanza, i consumatori”, prosegue Sicolo.
Il timore è che la crescente dipendenza da grano estero – spesso di qualità inferiore e provenienza incerta – possa compromettere anche gli standard di sicurezza alimentare. “Oggi il valore riconosciuto al grano italiano non copre nemmeno i costi di produzione. I consumatori scelgano solo pasta realizzata interamente con grano italiano”, conclude Sicolo.