La “giustizia alternativa” della mafia del Gargano, dove un gioielliere avrebbe finanziato la latitanza di un boss e paga il pizzo ai clan per avere protezione, arriva ad uccidere per regolare i conti su una rapina. Il tutto “nell’omertà, nel silenzio e nella totale mancanza di collaborazione” di un territorio che sembra caratterizzato da “una sorta di dipendenza mafiosa della cittadinanza” e nel quale “quei pochi che parlano, ostacolano le indagini, raccontando verità false”.

È questo il contesto descritto dai magistrati della Dda di Bari nel quale sarebbe maturato l’omicidio, commesso con 12 colpi di fucile il 21 marzo 2017 a Monte Sant’Angelo, del pregiudicato Giuseppe Silvestri, vicino al clan Li Bergolis. A due anni dal delitto, i Carabinieri hanno arrestato il presunto sicario, il 48anne Matteo Lombardi, vicino al clan rivale dei Romito-Ricucci-Lombardi, e il 39enne Antonio Zino (ai domiciliari), accusato di favoreggiamento per aver fornito un falso alibi a Lombardi, organizzando un finto viaggio nel Milanese proprio la notte dell’agguato. “L’omicidio, oltre a costituire un ulteriore anello della catena omicidiaria dell’atavico conflitto mafioso in atto sull’area garganica, – si legge nel provvedimento d’arresto – assume, in chiave mafiosa, il significato di una giustizia alternativa e di una esemplare risposta punitiva” ad “un’azione delittuosa così eclatante ai danni di un imprenditore che si era mostrato sempre disponibile nei confronti di chi gli avrebbe potuto garantire sicurezza e protezione”. Il gioielliere Giuseppe Dei Nobili, infatti, avrebbe pagato per anni il pizzo al clan Li Bergolis.

Dalle indagini emerge che sarebbe stato lo stesso clan a fornire supporto agli autori della rapina nella gioielleria Dei Nobili.

In quel vuoto di potere e con la “credibilità dei Li Bergolis ridotta a zero” si sarebbe “infilato” Lombardi, uccidendo Silvestri, incastrato dal dna trovato sui bossoli. Ricostruendo il lavoro investigativo, i pm hanno evidenziato che “l’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura nel territorio foggiano sta rappresentando una priorità assoluta” ma quelle sugli omicidi “sono indagini davvero complicate”, se si considera che è irrisolto l’80% dei 300 fatti di sangue avvenuti in Capitanata dal 1978 ad oggi. Alle indagini sull’omicidio Silvestri collaborò nelle prime fasi anche il maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Di Gennaro, ucciso il 13 aprile a Cagnano Varano dal pregiudicato Giuseppe Papantuono.