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Quarto abbattimento di abitazioni, case a luci rosse, negozi.

Quasi tre mesi dopo le ultime operazioni di abbattimento, tornano le ruspe al ‘ghetto’ di Borgo Mezzanone. Agglomerato abusivo sorto accanto al Cara (Centro richiedenti asilo), a pochi chilometri da Foggia.

Poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari dell’Esercito Italiano – secondo quanto trapela – saranno al lavoro per l’intera giornata. Giornata in cui è prevista la demolizione di una quarantina di manufatti, tra case a luci rosse, ristoranti, abitazioni in tufo e un gommista.

Quello di oggi è il quarto di una serie di interventi programmati dalla Procura di Foggia e dalla Prefettura. L’obiettivo quello di un progressivo smantellamento dell’insediamento abusivo. Nelle prime due azioni, il 20 febbraio e il 26 marzo, erano state abbattute 21 baracche ad uso commerciale. Oltre a questo altre case a luci rosse, una discoteca e anche un parrucchiere. Poi le ruspe sono tornate il 17 aprile, per demolirne altre 19, 17 delle quali destinate ad abitazioni in cui vivevano 56 migranti, perlopiù africani; due manufatti erano comunicanti, utilizzati come case di prostituzione.

Migranti: nel ‘ghetto’ foggiano anche forme di caporalato.

Nel decreto di sequestro preventivo firmato dal Gip del Tribunale di Foggia, Manuele Castellabate su
richiesta dei pm Paola de Martino e Giuseppina Gravina, viene evidenziato che il ghetto “è occupato non solo da stranieri irregolari, dediti alla consumazione di attività di natura delinquenziale, ma anche da soggetti regolari che in assenza di alternative sono stati costretti ad occupare i manufatti abusivi. Di più – prosegue – in assenza di una occupazione lavorativa molti di loro sono state vittime di una delle ultime forme di schiavitù, ossia l’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro nel periodo comprensivo tra i mesi di aprile e settembre, in cui si concentra maggiormente l’attività agricola del Tavoliere”.

Nel decreto si fa esplicito riferimento al “ruolo di intermediario, assunto da alcuni stranieri, verso gli imprenditori agricoli, provvedendo personalmente a procacciare manodopera direttamente nel ghetto e percependo somme del tutto sproporzionate anche per il trasporto, peraltro in condizioni pericolose”.