omicidio

“Vorrei urlare ridatemi mio marito. Non bisogna più aver paura. Io non smetterò mai di ricordare che qui a terra la mattina del 9 agosto 2017 invece di Luigi e Aurelio poteva esserci chiunque – è il ricordo di Arcangela Luciani, vedova e cognata dei due agricoltori assassinati a San Marco in Lamis esattamente due anni fa nel quadruplice omicidio che li vide coinvolti, per errore, assieme al boss Mario Luciano Romito e al cognato Matteo De Palma, veri obiettivi dei killer.

“Finché continuiamo a far finta di niente, a non denunciare – ha aggiunto -, siamo tutti potenzialmente in pericolo: la mafia non guarda in faccia a nessuno”. Il secondo anniversario, è stato commemorato alla stele nella vecchia stazione, dove è avvenuta la strage. “Questo – ha aggiunto don Luigi Ciotti, presente con Libera – deve diventare un luogo di speranza.  Qui la morte e la vita si sono incontrati. Ma quando ci allontaniamo da qui dobbiamo urlare, far conoscere alla gente quanto accaduto in questa terra. Bisogna smuovere le coscienze. L’80 per cento dei familiari delle vittime di mafia in Italia non conosce la verità. Lo Stato oggi qui c’è ma solo da una parte. Non c’è nel dare lavoro ai giovani, nei servizi e nelle politiche sociali”.

Sul fronte delle indagini del quadruplice omicidio, invece, proprio questa mattina si è costituito alle Forze dell’Ordine Giuseppe Bergantino, il 45enne di Manfredonia, che ieri è risultato tra i destinatari dei sette arresti della Direzione Distrettuale Antimafia. I Carabinieri oltre ad aver smantellato un quinto clan barlettano e ad aver sgominato un traffico internazionale di droga, hanno messo luce proprio sui fatti di due anni fa. Grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carlo Magno, si è compreso che, oltre al manfredoniano Giovanni Caterino – beccato per l’omicidio, tra le menti c’era Saverio Tucci che, eliminando il boss Romito, sarebbe diventato egemone nello spaccio di stupefacenti.