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La Corte di Assise di Appello di Bari ha confermato, riducendo in parte le pene, le nove condanne inflitte nei confronti di pregiudicati dei clan Conte e Cipriano di Bitonto imputati per i quattro agguati mafiosi nell’ultimo dei quali, all’alba del 30 dicembre 2017, fu uccisa per errore l’84enne Anna Rosa Tarantino.

I giudici hanno confermato la condanna a 20 anni di reclusione per il boss Domenico Conte, ritenuto mandante del delitto, per Cosimo Liso e per Alessandro D’Elia. Ridotte le pene nei confronti degli altri sei imputati: il capo clan del gruopo Cipriano, Francesco Colasuonno, Rocco Mena (da 6 a 4 anni), Benito Ruggiero (da 6 anni e 8 mesi a 4 anni e 6 mesi), Michele Rizzo (da 3 anni e 4 mesi a 2 anni) e per i collaboratori di giustizia Michele Sabba e Rocco Papaleo, esecutori materiali dell’omicidio Tarantino (da 14 anni a 13 anni e 8 mesi di reclusione per esclusione dell’aggravante mafiosa. I giudici hanno confermato anche le condanne al risarcimento danni per oltre 66 mila euro nei confronti delle costituite parti civili, i familiari della vittima, il Comune di Bitonto e l’associazione Antiracket.

Stando alle indagini di Polizia e Carabinieri, coordinate dai pm della Dda di Bari Ettore Cardinali e Marco D’Agostino, all’origine dello scontro c’era la gestione delle piazze di spaccio. Quella mattina la signora Anna Rosa finì per errore sulla traiettoria dei 17 colpi di pistola esplosi nei vicoli del centro storico di Bitonto, vittima innocente della guerra in atto tra i due clan rivali della città.

La mattinata di fuoco, in cui furono esplosi complessivamente più di 50 colpi di pistola in quartieri diversi, iniziò con il primo agguato da parte di Cosimo Liso del clan Conte.

Ci fu poi l’immediata risposta con due spedizioni punitive da parte di Francesco Colasuonno, Benito Ruggiero e Rocco Mena del clan Cipriano. Poi la reazione con il boss Domenico Conte che diede l’ordine di uccidere, Alessandro D’Elia che portò il messaggio e due uomini con i volti coperti, Michele Sabba e Rocco Papaleo, che, inseguendo lo spacciatore Giuseppe Casadibari (anche lui adesso collaboratore di giustizia), uccisero per sbaglio la signora Tarantino. Nel processo sono contestate anche le minacce alla famiglia di Casadibari da parte di Ruggiero e Rizzo.