Hanno estorto denaro ad una persona, già condannata in primo grado, e per questo i Carabinieri del Reparto Operativo del Nucleo Investigativo di Bari, hanno fatto scattare le manette nei confronti del 25enne Christian Testini e del 37enne Ivan Romita, entrambi già detenuti ai domiciliari per altri reati e hanno denunciato, in stato di libertà, due loro congiunti.

Le indagini che hanno portato alla custodia cautelare, condotte dagli uomini dell’arma e coordinate dalla DDA di Bari, scaturiscono da uno stralcio di due pregresse attività, Attila e Attila2, che consentirono nel dicembre 2015 e 2016 di arrestare 30 persone, per la partecipazione all’associazione mafiosa del clan Di Cosola, aggravata dalla disponibilità di armi da guerra, ma anche per scambio politico-mafioso operante nell’hinterland barese.

Durante gli esami degli uomini dell’arma, venne svelato un accordo che prevedeva un sostegno elettorale del gruppo criminale, a favore di un candidato non eletto alle elezioni regionali del 2015. Nella vicenda, Armando Giove, factotum dell’aspirante politico, aveva stipulato un accordo che prevedeva il versamento di 70mila euro per la campagna elettorale svolta dal clan nei territori interessati. Giove fu per questo condannato in primo grado per voto di scambio.

Ma successivamente all’arresto questo ha cominciato a testimoniare, come parte offesa, contro Testini e Romita, oggi arrestati, raccontando di essere oggetto di una aggressiva manovra estorsiva che si è protratta dal 2014 fino al 2016. 

In questo periodo risulta che la vittima aveva subito tre richieste estorsive e costretto a versare la somma di 15 mila euro in rate mensili da mille euro a partire da gennaio 2015. Le pretese, spesso seguite da minacce rivolte anche al nucleo famigliare di Giove, consistevano anche in ricariche telefoniche, dispositivi telepass per pedaggi autostradali, consegna di veicoli, pagamenti delle rette scolastiche dei figli degli estorsori e biglietti per lo stadio. Il totale della somma ammonta, quindi, a quasi 60 mila euro.

I documenti dei difensori, a cui si sono aggiunte intercettazioni fatte all’epoca dei fatti, hanno permesso di verificare la veridicità e la fondatezza delle accuse fatte dal denunciante.